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Un po' è colpa anche dei siti web

Per anni ci hanno bombardato di pubblicità e testi prolissi.

Da quando siamo entrati nell'era dell'IA sono stati tanti gli sconvolgimenti, per di più ad una velocità mai vista prima. Se Morning Tech esiste è solo grazie a questa grande era, e tante volte abbiamo detto che anche solo cinque anni fa avremmo fatto fatica ad essere quello che siamo oggi.

Tra i vari sconvolgimenti ce ne sono due che sono legati specificatamente ai chatbot: 1) gli autori di testo, video e immagini non vengono ricompensati se il loro lavoro permette a un'IA di monetizzare (tema un po' controverso) e 2) il netto declino del traffico verso i siti web.

I chatbot stanno sostituendo i motori di ricerca e non ha più senso uscire dall'IA conversazionale per approdare su un sito web che non aggiunge valore.

Questa narrazione dà tutta la colpa ai chatbot, che di fatto sono proprio coloro che "trattengono" il traffico, ma una parte della colpa ce l'hanno anche i siti web, e mi spiego meglio.

Pre-IA i motori di ricerca hanno dominato lo step zero della gran parte dei flussi di navigazione. Iniziare da Google è sempre stato il modo per condurre una ricerca, organizzare un viaggio, prenotare un ristorante, ma anche conoscere i sintomi di una malattia o consultare una ricetta.

"Prigionieri" di questo monopolio, o meglio, dell'unico modo esistente per esplorare internet, abbiamo sempre mandato giù una certa piaga, cioè tutti quei siti scritti "in lingua SEO", con introduzioni lunghissime che non arrivano mai al punto, pieni di pubblicità in ogni angolo possibile, lenti a caricare. Ogni visita inizia con la chiusura immediata della cookie policy (che non legge nessuno), continua dribblando ogni tipo di pubblicità invasiva, poi chiudendo il banner della newsletter, e dopodiché cercando di arrivare al punto in un testo che non ti dice mai quello che vuoi sapere.

Dall'altro lato i chatbot ti dicono già tutto subito in maniera sintetica, anzi, te lo dicono proprio come preferisci tu, e sebbene ormai tutti (ChatGPT, Anthropic, Gemini, Grok, ecc.) abbiano inserito il link alla fonte, nessuno ha un vero e proprio interesse a cliccarlo.

Il disinteresse nasce anche da una sfiducia nei confronti di cosa sono diventati i siti di informazione nell'ultimo decennio: è chiaro che le aziende avevano bisogno della pubblicità per monetizzare ed è chiaro che hanno avuto bisogno di scrivere testi prolissi e noiosi pur di battere la competizione nell'indicizzazione organica di Google, eppure ci sono progetti, come Il Post o The Guardian, che hanno saputo coltivare una community invece di trattare qualsiasi visitatore "a pubblicità in faccia".

Oggi sono proprio queste community quelle che stanno soffrendo meno durante la transizione, mentre ci sono realtà come i più grandi giornali italiani che si ostinano a proporre membership intasandoti di pubblicità come minaccia: hanno perso il pelo ma non il vizio.

Questi nuovi anni stanno vedendo un cambiamento radicale su come gli utenti si relazionano ai brand, e la presenza dei chatbot sta accelerando fortemente tutto questo. Non è solo l'IA, ma sono anche gli algoritmi dei social, sempre più addictive e poco a favore dei creator, che stanno portando brand e individui a spostarsi su piattaforme più "calme", dove è possibile costruire e coltivare un audience.

Non è un caso che con MT stiamo cercando di fare questo, cioè creare un patto di fiducia con il lettore e mai "maltrattarlo" per spingerlo alla membership. I modelli freemium (free + premium) sono quelli che stanno conquistando il futuro prossimo, dare cioè un servizio gratuito con una piccola parte di contenuti o servizi opzionali a pagamento.

L'esodo dai social è una realtà che abbiamo documentato anche con molte pubblicazioni segnalate su MT e sulla crisi dei più grandi giornali italiani scriviamo ormai da tempo, grazie anche ai report annuali di Reuters, come l'ultimo pubblicato qualche settimana fa.

Per tornare al punto dei siti web: chi ha voluto usare le "maniere forti" adesso incontra grossi problemi di fiducia e chi invece ha saputo lavorare con la community, come Il Post o anche realtà minori come Will Media, GeoPop, ecc., può cavalcare questa transizione e prendersi anche tutta quella fetta di utenti delusa dai grandi giornali o dai grandi siti di informazione.

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